La folla invisibile (il mondo dello scrittore visto da chi gli vive accanto)


"Particolare gratitudine va a mio marito,
che è costretto a dividere la casa con tante persone invisibili."
 
 
Ho scovato questa nota nei ringraziamenti del meraviglioso volume di Hilary Mantel, Anna Bolena - Una questione di famiglia.
Fermo restando che
ogni volta che leggo di Anna Bolena, che vivo con lei la scalata al potere e la vedo camminare inesorabile verso i gradini del patibolo, ogni volta che sono lì con lei, già con gli occhi bendati, sentendo alle mie spalle i movimenti del boia di Calais, spero sempre che arrivi in extremis un messaggero recante la grazia di Enrico;
fermo restando che

ad ogni pagina che divoro mi lascio trascinare a tal punto dalla vicenda da trovarla ridicola, sotto certi aspetti -per non dire scandalosa e ingiusta-, in modo realmente viscerale, devo ammettere che, questa particolare volta, più dell'ineluttabilità dell'immutabile passato, ad avermi colpito è stata proprio quella nota dell'autrice.
 
Gli scrittori vivono in mondi paralleli.
Sono qui, fisicamente, ma col pensiero costantemente rivolto alle proprie storie. Inevitabile, quando si ha un amore e, dunque, un pensiero fisso.
E, siccome in letteratura non vale la prima regola del gioco del Poker, le emozioni non vengono lasciate fuori dalla porta.
I personaggi non rimangono tali. Non a lungo, per lo meno.
Prima o poi, compiono il balzo, acquistano quel quid che lo scrittore ricercava e si trasformano in persone.
E tu -tu scrittore- vivi con loro, in mezzo a loro. Con ognuno intrattieni chiacchierate e dialoghi e discussioni (perché, ovviamente, non tutti la pensano come te).
Ti arrabbi, te la leghi al dito, soffri mentre li plasmi e li scopri indomiti sotto le tue mani, sotto le tue parole a tratti smozzicate.
Vivi con loro.
Te li porti a casa.
E colui, o colei, che in carne e ossa vive con te, non può non finire con lo scontrarsi con loro.
Fogli volanti, appunti frenetici presi con una grafia tanto rapida da sembrare una strana forma di steno, libri consultati aperti sul tavolo o sul divano, pagine piene di rimandi e post-it colorati e segnalibri improvvisati (dallo scontrino alla matita spuntata), carte su carte di volti abbozzati, il particolare impresso di un'occhiata in tralice o di una manica, lo storyboard di una determinata scena scritta e cancellata e riscritta ancora a ripetizione, elenchi di nomi e piante e luoghi e stoffe e...
 
... costretto a dividere la casa con tante persone invisibili...
 
Persone, non personaggi.
C'è una grandissima differenza.
E chi vive al tuo fianco (parlo sempre del chi dotato di carne e ossa e bollette da pagare e stomaco da saziare) impara a destreggiarsi tra le tante tue "te". Impara o accetta o si adatta o, semplicemente, sopporta.
Quantomeno, ci prova.
Lo scrittore guarda con gli occhi di coloro che sta creando, e la sua visione cambia di volta in volta.
Applica, in modo assolutamente naturale e senza nemmeno rendersene coscientemente conto, il metodo Stanislavskij alle proprie creature, a se stesso.
Osserva il fuoco in un camino e i suoi occhi sono quelli del monaco medioevale annientato dinanzi l'abbazia in fiamme; visita un museo per diletto, e l'istinto e i sensi cercano le vie di fuga, la posizione delle telecamere e i turni dei guardiani. Due ragazzine inconsapevoli passeggiano per strada, e lui si ritrova a domandarsi se e quali segreti, ombre o abissi nascondano le loro fronti apparentemente senza preoccupazioni.
 
Questa è la pesante valigia dello scrittore. Bagaglio che ingombra la sua metaforica soffitta -piena all'inverosimile, peggio che la gonna di Eta Beta- e che rumoreggia, specie nei momenti di maggior silenzio.
Chi vive con lo scrittore se la trova sempre tra i piedi. Ci inciampa, la urta col piede, apre un armadio e, patapanfete, se la ritrova addosso, manco fosse un amante nascosto.
E allora, mi domando: cosa prova realmente? Dico: il colui-di-cui-sopra-quello-in-carne-e-ossa?
Insofferenza? Voglia di chiamare una letteraria ditta di traslochi? Senso di soffocamento?
Vi lascio con questo interrogativo letterar-psico-cosmico.
 
Non esiste una fine, questa volta.
A dire il vero, non c'è nemmeno stato un vero inizio.
Rimaniamo sospesi. Tra le parole. Fluttuando. Come i palloncini di un clown diabolico.
 
 

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