Divergent - Veronica Roth


Puoi anche essere una categoria dello spirito e vivere in un mondo tutto tuo, ma quando una saga è sulla bocca di tutti, c'è poco da fare: ti arrendi e ti ci addentri.
La trilogia di Veronica Roth mi fissava già da troppo tempo dagli scaffali della mia libreria. Così, adesso, eccomi.
Avevo volutamente evitato di imbattermi in recensioni e commenti spoiler, per non guastarmi la sorpresa. Ne consegue che, a parte le sommarie informazioni dell'aletta di copertina, non avevo quasi idea di cosa trattasse Divergent. Non volevo lasciarmi fuorviare dalle opinioni altrui. Volevo vedere se il romanzo sarebbe riuscito ad appassionarmi a prescindere (nonostante l'iniziale perplessità dovute alla grafica di copertina, troppo simile a quella della saga degli Hunger Games).

Senza infamia e senza lode, il romanzo si snoda attraverso una serrata prima persona, e ci porta a condividere la scelta di Beatrice in una Chicago futuristica suddivisa in cinque fazioni detentrici ognuna di paraocchi e stilemi.

"Quando osservo lo stile di vita degli Abneganti dall'esterno, lo trovo bello. Quando guardo la mia famiglia muoversi in armonia; quando andiamo alle cene e alla fine tutti aiutano a pulire senza che glielo si debba chiedere; quando vedo Caleb offrirsi di portare la spesa agli estranei, ogni volta mi rinnamoro di questa vita; è solo quando cerco di viverla io che iniziano i problemi. Non la sento genuina.
Ma scegliere un'altra fazione significa abbandonare la mia famiglia. Per sempre."

Beatrice -Tris- nasce Abnegante, sceglie ugualmente di diventare Intrepida... ma, in realtà, lei è l'anomalia del sistema, l'essere davvero pensante in un branco di pecoroni indottrinati.
Non mi è dispiaciuto. La trama forse non è un mostro di originalità -leggi: prevedibile-, ma ugualmente costituisce una piacevole lettura.
Unico neo che ho trovato: il cammino, l'evoluzione della protagonista.
Tris si trova per la prima volta a dover far fronte a prove che agghiaccerebbero e bloccherebbero gente ben più scafata e salda di lei.
Si ritrova da un giorno all'altro in un crudo Signore delle mosche in versione college (data l'età media degli appartenenti alla fazione degli Intrepidi).

Il fatto che Quattro se ne sia andato mi rende nervosa.
Lasciarci con Eric è come ingaggiare una babysitter che passa il tempo ad affilare i coltelli.
(...)
"Comando io, qui, ricordi?" dice infine Eric, così piano che lo sento appena. "Qui, e da ogni parte."

Eppure: mai un cedimento degno di questo nome.
Lei è una tosta e coraggiosa, che va e spacca.
Che sa quello che vuole: riuscire.
Avrei preferito un personaggio dalla più lenta formazione, perché non è vincendo sempre che si cresce; il più delle volte, purtroppo, il carattere di una persona diventa forte grazie alle tante musate.
Nel romanzo, di queste "musate", ce ne sono pochine.
Per carità, meglio per Tris. Dal mio punto di vista, però, tale manchevolezza va a discapito dell'altrimenti ottima costruzione psicologica della protagonista.

"(Tris) è solo una stupida ragazzina, non c'è bisogno di trascinarla qui e interrogarla."
"Solo una stupida ragazzina" grugnisce Eric. "Se lo fosse davvero, non sarebbe la prima in classifica, non trovi?"
Tobias si pizzica il dorso del naso e mi guarda attraverso le dita. Sta cercando di dirmi qualcosa. Penso rapidamente. Che consiglio mi ha dato di recente? L'unica cosa che mi viene in mente è: Fingi di essere vulnerabile.
Finora ha funzionato."






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