Onomastica (varie ed eventuali)

"Una cosa è certa: gli eroi non muoiono mai.
Essi ricompaiono sempre nel corso della storia,
sia pure sotto nomi fittizi."
 
Jean Markale, Lancelot et le chevalerie arthurienne,
IMAGO, 1985
 
 
La scelta dei nomi dei personaggi ha costituito una divertente sfida nella quale il mio amore per la
storia della lingua e le etimologie ha giocato un ruolo importante.
Una delle libertà che mi sono presa concerne piuttosto i cognomi: alcuni dei personaggi ne sono dotati, cosa quasi impossibile nel Medioevo. I cognomi come li intendiamo oggi, a quel tempo non erano ancora chiaramente stabiliti. Sono nati più tardi, e il processo è stato interessante quanto lento. Il loro uso diventò un obbligo solo intorno al 6-700 e assunse caratteristiche rimaste fino ad oggi sostanzialmente inalterate durante il decennio napoleonico, con la nascita dello Stato Civile e dell'Anagrafe.
Se già i Latini avevano avvertito l'esigenza di identificare se stessi con un nome proprio e con l'attributo del clan di appartenenza (la gens), in età Repubblicana vediamo nascere un nuovo elemento distintivo, in grado di diversificare due individui aventi lo stesso nomen e appartenenti alla medesima gens: il cognomen, una sorta di soprannome in riferimento a caratteristiche individuali.
 
Le influenze barbariche sull'onomastica cominciarono a farsi sentire dopo l'anno Mille, quando il nome di battesimo viene affiancato da un patronimico o un matronimico (identificativo tipico dei clan, il comune "XY figlio di YZ"). Ma è essenzialmente in età Comunale che si avverte la necessità di "registrare" (oggi diremmo: "schedare") una persona senza -quasi- margine di errore. Ecco che ci si cominciò allora a registrare presso le corporazioni municipali segnalando il proprio nome e la propria provenienza; in altri casi, il proprio nome e una caratteristica fisica (es: lo Zoppo); in altri, il proprio nome e il mestiere svolto.
Da questo nasce il cognome moderno: dalla necessità di identificare chiaramente un individuo, risalendo alla sua famiglia, alla sua occupazione o al suo luogo di origine.
Da qui, storpiatura dopo storpiatura, secondo una legge di economia linguistica, i vari cognomi hanno assunto gradatamente la forma sotto la quale li conosciamo oggi.
 
Libertà. Licenza poetica. Voglia (dello scrittore nella sua soffitta) di dare un nome e un cognome "pseudomoderno" ai propri personaggi.
 
Per quanto invece riguarda i nomi propri...
Come dicevo, la scelta è stata un gioco divertente, anche perché parte di loro rispondono alla massima per la quale nomina sunt consequentia rerum.
Ecco allora Nemi, che è il bosco -più o meno sacro- dei latini (nemus, nemoris), ma è anche nessuno (nemo, nullius). Entrambi i termini credo la dicano lunga sul personaggio.
Niken è un grecismo assoluto e parlante che richiama la vittoria in combattimento.
Con Blodric, cambiamo decisamente ceppo.
C'è da dire che, nelle prime stesure, Blodric non fosse il sovrano del quale leggete adesso. Era il cattivo delle favole, una sorta di Barbalù medioevale dal cuore di Darth Fener che fondava solo sulla ierogamia la propria unione con la giovanissima (e riluttante) erede di Temarin. Questo è il solo aspetto che sia rimasto del personaggio-Blodric originario: il matrimonio con la terra, prima che con la persona di Rya. I connotati altamente negativi che lo caratterizzavano, invece, si sono persi tra le varie correzioni... ma il nome è rimasto: Blodric, debitore del blood (sangue) inglese.

Quanto alla protagonista...
Rya è un discorso a parte. A lungo, non ha neppure avuto un nome. Era semplicemente X. Trasformato poi in Ics -sì, scritto proprio I-C-S!-: la prima tra le variabili, colei che può essere tutto e il contrario di tutto. Esattamente com'è il suo carattere.
Un giorno, poi, è diventata Rya.
La colpevole?
Proprio lei, così giovane, viziatella e innocente?
Sì, proprio lei.
Nel primo volume, questa caratteristica è appena accennata, come un seme gettato nel terreno. Ma cresce, la ragazza. E sbaglia. E si inventa un modo per uscire dai guai. Costi quello che costi.
Trasforma se stessa (come la variabile dalla quale ha avuto inizio tutto) e riuscirà a riservare più di una sorpresa.
La colpevole.
Ma: colpevole... di cosa?

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